L’avvelenamento

Una delle cose che in assoluto mi spaventa di più è la prospettiva di una società che non sia più nemmeno capace di immaginare che le relazioni tra le persone, e delle persone ai loro tempi e luoghi, possano essere qualcosa di radicalmente diverso da ciò che ci circonda nell’urbanesimo industriale.

Non parlo di utopie o di esotici paesaggi futuri.

No, parlo di cose e situazioni del nostro passato, talvolta recente, talvolta qua e là ancora presente.

Nell’arco dei pochi decenni che mi separano dalla mia infanzia e giovinezza ho avuto modo di vedere forme di vita, altamente imperfette, ma semplici e umane, trasformarsi, avvelenate progressivamente dall’indifferenza plastificata della ‘modernità’.
Crescere la disponibilità di beni futili, recedere beni fondamentali ma non commerciabili. Crescere diffidenza e callosa freddezza, ritrarsi di fiducia e convivialità. Crescere mutuo disprezzo e competizione, dissolversi di elementari forme di cooperazione e rispetto.

Ciò è avvenuto spesso letteralmente sotto i miei occhi.
Naturalmente si tratta di un processo differenziato e si possono così ancora trovare angoli parzialmente preservati, con modi relazionali, ritmi e sintonie ambientali capaci di percepire cose e persone.
Ma è un processo di avvelenamento sistematico delle esistenze, un avvelenamento che possiamo associare a meccanismi socioeconomici ben noti, ma il cui lato direttamente umano rimane di solito invisibile, come se tutto ciò con cui abbiamo a che fare fossero variabili come il Pil, la disoccupazione, il potere d’acquisto, ecc.

Per molto tempo mi sono ripetuto, come era stato ripetuto a me da altri, che questo era un fisiologico disagio verso l’innovazione, che non c’è epoca che non abbia idealizzato il proprio passato, che questa era la direzione del progresso, che la ‘dinamicità industriale’, che ‘bando ai nostalgismi’, che ‘le sfide della modernità’, che…

Ecco.
No.
Sono arrivato alla salda convinzione che queste mozioni a cogliere il ‘nuovo che avanza’, ad ‘abbracciarne le sfide’ erano e sono idiozie irresponsabili.
Certo che la storia non sta ferma. Ma questo significa anche che ogni ‘nuovo’ è nuovo a modo suo. E appellarsi a qualche progresso passato per giustificare a scatola chiusa il nuovo corrente è ideologia e malafede. Il nostro di ‘nuovo’ è la produzione di un’umanità inferiore, svuotata e sofferente nello stesso tempo in cui appare pingue e benestante. Abbiamo davvero assassinato forme di vita umana migliore, e stiamo continuando a farlo.

Ciò che davvero spaventa è come sia sempre più difficile anche solo far immaginare, a chi non ne abbia fatto esperienza in prima persona, che forme di vita diverse dall’isteria urbana, dal competitivismo escrementizio, dal narcisismo da gadget, dal deserto di anime vuote che cresce ogni giorno sia possibile.

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