Uno dei discorsi che attecchiscono più frequentemente sul tema migratorio è quello delle responsabilità storiche, dello sfruttamento occidentale, del colonialismo, ecc. L’idea di fondo è che in qualche modo l’accoglienza dei migranti, soprattutto se provenienti da certe aree del mondo meno sviluppato, sarebbe per così dire un doveroso risarcimento storico per abusi passati dell’Occidente.
Ora, la dimensione storica non va certamente sottovalutata e le responsabilità storiche sono senz’altro qualcosa con cui fare i conti. Così, per dire, che un paese come gli USA, nato sulle ossa di innumerevoli nazioni di nativi americani, ritenga di dover saldare qualche conto di lungo periodo nei confronti di quelle popolazioni (o di quel che ne rimane) è del tutto ragionevole. E per alcuni paesi, come la Francia, vi sono anche attività presenti di stampo neocoloniale con cui di nuovo è doveroso fare i conti. Nello specifico del caso italiano e degli attuali processi migratori, tuttavia, il limitatissimo colonialismo novecentesco (Libia, Corno d’Africa) ha lasciato un’impronta minima e ha saldato da tempo i suoi conti.
Però a questo punto, così come può essere giusto guardare alla storia sotto la prospettiva delle colpe, allora sembra altrettanto giusto prendere parimenti in considerazione una prospettiva ampliata a tutte le forme di responsabilità storica. Ed è a questo punto che il quadro diventa più interessante, anche da un punto di vista filosofico. Già, perché a tutti coloro i quali vogliono far leva su colpe storiche per spiegare le necessità dell’accoglienza è forse giusto far osservare come di gran lunga la maggior parte delle colpe, dei meriti, delle responsabilità in genere, ogni paese li nutre al proprio interno, nei limiti di continuità territoriale delle sue città, delle regioni, dello Stato.
Ogni città, ogni territorio che abitiamo, è stato modellato nei secoli attraverso le fatiche e anche gli errori, attraverso il sacrificio, l’ingegno, spesso il sangue delle molteplici generazioni che ci hanno preceduto. Queste sono un retaggio, stratificato generazione dopo generazione, nella speranza di chi ci ha preceduto di poter lasciare a chi seguirà qualcosa di meglio, forme di vita personale e collettiva migliori.
Così come di fronte ad un paesaggio naturale, creato nel tempo, sentiamo di avere una responsabilità verso di esso e non riteniamo sia giusto poterlo snaturare a piacimento, così, a maggior ragione, dobbiamo pensare nei confronti dei territori, delle città, delle istituzioni, dei costumi, delle forme di vita che ci hanno permesso di nascere e crescere. Tutte queste cose non sono ‘nostre’, non sono a nostra disposizione: sono cose che, se ne siamo capaci, possiamo prenderci la responsabilità di tentar di migliorare in questo o quel punto, ma di cui dobbiamo essere consapevoli di non esserne gli arroganti padroni.
Se mutamenti storici sembrano spingere verso uno snaturamento, un deterioramento, un mutamento incontrollato, la nostra responsabilità storica primaria va verso la conservazione di quanto abbiamo ereditato, di cui siamo innanzitutto gestori e fruitori, ma non proprietari. Se vogliamo parlare di diritti, ebbene noi non abbiamo nessun diritto di svendere o snaturare ciò che ci è pervenuto.
Questo non significa naturalmente che mutamenti fisiologici non possano ed anzi debbano avvenire. L’unico modo efficace per conservarsi in forme viventi è mantenere un equilibrio nel cambiamento, non irrigidirsi in un’immobilità che si confà forse ad un minerale, ma non ad un vivente.
Come in un organismo esistono processi quali la crescita, il metabolismo, la respirazione e molti altri in cui il medesimo corpo è attraversato da numerosi elementi che entrano ed escono da esso, così accade nella fisiologia di un’entità storica. In un organismo quella permeabilità è cruciale per la conservazione di un equilibrio in sviluppo. Ma al tempo stesso, non ogni ingresso di elementi esterni è accettabile: molti di essi risultano patogeni, disfunzionali, letali. Similmente in un’entità storica vi è una permeabilità necessaria. Vi è poi anche una permeabilità non necessaria ma comunque metabolizzabile; ed infine vi è una permeabilità esiziale e potenzialmente letale. Ciò vale per gli spostamenti di persone (migrazioni), ma non solo: vale, come è più facilmente riconosciuto, per gli atti esplicitamente aggressivi di agenti esterni (guerra), come per gli spostamenti di potere economico (capitale), o anche per variazioni ecologiche ed ambientali, sia che siano imputabili a qualcuno o che siano di origine ignota (parassiti, contaminanti, ecc.).
In ogni organismo la sua prima a fondamentale funzione, per conservarsi in vita, è quella di sorvegliare e modulare, a seconda delle proprie condizioni, la propria permeabilità, il confine tra esterno ed interno. Non diversamente ciò avviene e deve avvenire per ogni entità storica, per ogni corpo politico, se vuole continuare ad esistere.
E ciò naturalmente vale per ciascuna singola entità storica, che porta con sé gli oneri e gli onori, i meriti e le colpe, delle fatiche, dei sacrifici, degli errori e del sangue delle generazioni che hanno preceduto i viventi presenti. Tali responsabilità, colpe e meriti interni valgono naturalmente per ciascuno stato-nazione europeo come l’Italia o la Francia, non meno di quanto valgano per altri corpi politici come, ad esempio, per ciascuno degli stati dell’Africa sub-sahariana. Niente di tutto ciò vieta, né sconsiglia, la generosità, l’aiuto, la benevolenza verso individui in difficoltà, ma in tutto ciò non è l’appello a colpe e responsabilità a poter rappresentare alcuna leva.
Ciascun individuo primariamente ha il diritto ad imputare colpe a, o viceversa può sentirsi debitore verso, ciò da cui proviene. È a quella dimensione che può e deve innanzitutto appellarsi, nel bene come nel male, nella gratitudine che rende responsabili verso le proprie radici, come nella colpevolizzazione per le mancanze di cui soffre.
Leggo sempre molto volentieri gli articoli di Andrea Zhok. E li sto rileggendo tutti, anche eprchè il tempo che passa è tiranno e spesso non ti permette di ragionare sul passato. Sono infatti convinto che il passato che dovrebbe essere una parte della nostra memoria ci possa permmettere di ritornare indietro nel tempo per verificare tuttti gli errori che abbiamo fatto e che ti permettono di correggerl. E questo significa che è possibile, come dovremmo fare tutti, cercare le responsabilità che quel passato ha avuto sul nostro presente. Situazioni che nei vari periodi hanno modificato il nostro stesso presente che cambia continuamente perchè è sempre piu frequente, e sta diventando tropo piu veloce e non ti permette di ragionare meglio di quello che facevamo prima. Ma voglio fare esempi di vita che nella vita delle persone in carne ed ossa creano differenziazioni sempore piu rapide, piu veloci, e che per questo, hanno sempre di piu bisogno di una sempre maggiore capacità di comprensione. Quasta settimana, oggi è il 24 marzo 2019, in una assemblea dello Spi Cgil della Sardegna Sud Occidentale, a San Gavino, si è discusso della situazione delle donne sarde, nelle miniere del Belgio. Io che sono nato a Cagliari nel 1950, e che in braccio a mia madre a pochi mesi di vita, con mia madre abbiamo raggiunto mio padre che era andato a cercare lavoro in Belgio, a Seraing, in provincia di Liegi, e trovò l’unico lavoro che era possibile trovare, quello del minatore nelle miniere di carbone. Abbiamo vissuto in Belgio 12 annni, e siamo rientrati in Sardegna nel 1962. In Belgio sono nati 2 sorelle quando avevo 3 anni e un fratello quando ne avevo piu di sette anni. Io mi sentivo Belga, come si sentivano le mie sorelle e i miei fratelli. Sono entrato nell’asilo e nelle scuole elementari. Il periodo precedente ovviamanente non lo conoscevo come lo conosco beninissimo oggi. Parlavo francese perchè Seraing, in provincia di Liegi, dove abiatavamo era nella parte vallonica del Belgio. Giovcavo con gli altri bambini che venivano da paesi europei diversi, a parte gli italiani ma anche i polacchi, i cecoslovacchi e altri paesi, ma ovviamente vi erano anche bambini belgi. Ricordo comunque che spesso mi chiamavano Macaronì, o Spaghettì, e per questo come fanno sempre tutti i bambini, ci picchiavamo nelle strade che allora non erano piene di aoto come lo sono oggi. In quella Assemnblea hanno proiettato un film documentario con interviste di uomini e donne sarde figli di minatori che hanno lavorator nerlle miniere in vari periodi, storici e che mi hanno ricordato proprio la mia infanzia. I ricordi, quando sono forti, ti lasciano smepre una commozione e questo fa parte dell’essere umano, a fifefrenza di chi crede che la politica possa essere sterile, incapace di epnsare ai propri simili, e chi vede comunità chiiuse, come se le uniche cose che devono essere libere di circolare oltre i confini di un paese, possa essere solo ed esclusivamente il denaro e le merc, mentre incvece gli eseri umani no. Io ho studiato, e sto ancora studiando la storia, e oggi che ho superato i miei 68 anni ho capito che le società nascono, crescono, arrivano al loro massimo di capacità di espansione e di crescita, oltre la quale non è possibile andare. Oltre quel massimo la serivata parziale rispetto all’asse ddelle x è zero, e in funzione di questo la curva incomincia a diminuire, prima lentamente, poi sempre piu rapidamente, fino a toccare l’asse delle X. Come fa l’essere umano, e anche gli altri esseri viventi. L’essere umano nasce, cresce, da bambino diventa ragazo o ragazza, poi adulto, arrivca alla sua massima capacità e poi raggiunto il suo limite, incomiuncia ad invecchiare, prima lentamente poi smepère più rapidamente e infine muore. . Quindi come moriamo noi, in tempi piu lunghi muoiono anche le società, che abbiamo studiato nelle scuole. Perfino il grande impero romano è nato dal nulla, e poi in un battito delle ali di una farfalla è scomparso ed un’altra società ha preso il suo posto. Quella società era costituita da quello che ancora oggi chiamiamo barbari. Quei barbari che hanno permesso di proseguire e migliorare la storia della umanità. E infatti non siamo mai ritornati indietro alle caverne, anche se oggi ci sono pefnsone che continuanoi a vivere così. Questo significa che per mai potrmo pensare che le saocietà non debbano morire e gli esseri umani possano morire con quella società. Sarebbe una cosa piu semplice ragionare su questo in maniera meno smeplice, questo lo so. Ma probabilmente possiamo anchge dire, che quando una società sta morendo i potenti, quelli che decidono le srti del mondo fannoi di tutto, compre anche le distruzioni attravrso le guerre per impedire che quella società finisca completamente la sua vita. In quella assembea la Segretaria nazionale del sindacato dei pensionati , una donna ed una grande compagna, ha chiuso l’Assemblea partendo ovviamente dal filmato che raccontava le grandi migrazioni degli anni 20-30-40-50, ma nello stesso tempo ha anche riportato l’argomento sulla situazine di oggi, cioè al nostro presente. E queste situazioni sono molto simili e noi non possaimo pensare che non debbe essere così, perchè è così. L’ho ascoltata con grandissima attenzione. Parlava serenamente come s stesse discutendo con ognuno di noi, presenti nella sala. Quando ha chiuso ilsuo intervent, io che conoscevo che cosa sia l’emigrazione, mi sono avvicinata a lei, l’ho abbracciata e le ho detto semplicemente: “Grazie Mina, tu con il tuo ragionamneto pacato, senza alzare la voce, hai sollevato il problema vero che riguarda il passato e i presente, e che sono elementi che njoi dobbiamo metetre insieme e in questo hai perfettamenet ragione. ” La politca invece di guardare al futuro che continua a camminare e a correre sempre piu velocemente è ferma e continua a guardare al presnete. Ma se il presente di oggi, domani diventa ieri, noi continueremo a ritornare indietro. Grazie per gli articoli che scrivvi Andrea e che poermettono a tuti quelli che lo desiderano di ragionare anche loro. Perchè se non fosse cosi, il tuom sapere a che cosa servirebbe? Ciao Sandro Caddeo