Nuovi eroi

Stavo leggendo un testo su alcune tecniche insegnate, in ciò che passa per ‘master avanzati di management’: tecniche di persuasione, di motivazione, di imposizione di sé come personalità carismatica.
Ciò che mi ha colpito è l’ovvietà con cui questa ‘neo-sofistica’ dia per scontato che il giusto e il vero siano da considerare tutt’al più mezzi occasionali per perseguire le finalità autentiche, le quali coincidono con il successo del manager stesso ed eventualmente dei progetti contingenti della sua azienda.
Può capitare che tu dica la verità, ma devi tener ferma la rotta dettata dai tuoi fini, rispetto a cui la verità è un mezzo. Può capitare che tu agisca secondo giustizia, ma ciò è subordinato alla capacità dell’apparenza di giustizia di guidarti verso il successo.
 
Mentre riflettevo su ciò mi è venuto in mente il parallelismo con un’osservazione che ho fatto spesso sull’industria cinematografica degli ultimi trent’anni.
Uno degli ‘eroi’ emblematici dell’immaginario a partire dagli anni ’80, quantomeno nell’area della filmografia d’azione è il ‘Killer’, l’assassino dotato di fantasmagoriche (quanto improbabili) capacità di uccidere, che mette le sue capacità al servizio di chi lo paga.
 
E’ straordinariamente interessante notare la trasformazione subita dalla figura, storicamente perenne, che rappresenta l’ “eroe guerresco”.
 
Non c’è narrazione eroica nella storia che non parli di eroi dalle straordinarie capacità belliche. Ma le caratteristiche tipiche di questi eroi fino a tempi recenti è la loro prevalente collocazione in una dimensione comunitaria ed eticamente giustificabile: l’eroe è un assassino provetto che uccide per una giusta causa.
Lo può fare nella cornice delle guerre del suo popolo, lo può fare come eroe difensivo di fronte ad un’aggressione, lo può fare per amore di patria, lo può fare al limite anche per un privato senso di giustizia. Da Achille, ai Samurai, da D’Artagnan fino agli sceriffi alla John Wayne l’idea che uno potesse essere un eroe solo abbinando grandi mezzi (capacità belliche) con finalità moralmente giustificabili è sempre stata un’idea in qualche modo ovvia.
 
Nella cinematografia contemporanea (seguita poi dai videogiochi) si è compiuto un fondamentale passo oltre. Le prime forzature si hanno con film come Rambo o il Giustiziere della Notte, dove abbiamo già a che fare con mere motivazioni psicologiche private, ma dove le condizioni che fanno da sfondo a quelle motivazioni rendono il comportamento dell’eroe, sì fuori legge, ma moralmente comprensibile.
 
Da allora però la figura dell’eroe-killer è stata integralmente sdoganata. Oramai le ‘giustificazioni’ si riducono a qualche regola igienica privata, a qualche ‘taciuta ma profonda sofferenza’, a qualche vagamente accennato retroterra umano, o anche a niente del tutto.
 
L’eroismo del killer corre in parallelo con quello del manager.
Sono figure del neoliberismo trionfante per cui l’esibizione personale degli ‘skills’, il dominio degli ‘strumenti’ sono l’orizzonte ultimo, l’unico richiesto, per essere riconosciuti e incensati.
 
I fini sono sempre, per definizione, roba privata, che non abbiamo né diritto, né in fondo interesse, a conoscere.
Come nella tradizione della tolleranza religiosa americana, i fini sono roba che riguardano il tuo personale rapporto con le tue credenze, di cui ti fai carico da solo, e che non dev’essere oggetto di discorso pubblico.
Perciò le ‘buone ragioni’, in quanto ragioni condivisibili e condivise, sono oramai un mero orpello stucchevole.
 
Nell’epoca dell’autoriproduzione del capitale (cioè nell’epoca dell’autoriproduzione del mezzo per eccellenza, finalizzato a produrne ancora di più) la sfera delle buone finalità, della buona vita, della giustificazione etica, sono ferri vecchi da sostituire con eventuali (quanto inespressi) struggimenti psicologici privati.
Lo sa lui perché lo fa, ma se lo fa bene, questo è tutto ciò che ci importa e che ci deve importare.
 
Mi chiedo se abbiamo consapevolezza di quale catastrofe umana (e pedagogica) alberghi in questo spostamento storico.

Una risposta a “Nuovi eroi”

  1. Interessante. Rimanendo sulla metafora cinematografica e volendo estendere il discorso dall’eroe-killer all’eroe-giustiziere (che combatte, ovviamente da solo, non sia mai!, contro le infamie del mondo) o all’eroe-salvatore (che opera per sottrarre la propria comunità, meglio ancora l’intera umanità, è più “eroico”!, da alieni, mostri, catastrofi naturali di ogni genere, ecc.) si noterà come egli, l’eroe, più che per il bene comune operi per salvare l’immancabile congerie di interessi privati, quasi sempre “pezzi ‘e core” rappresentati dal proprio figlioletto, compagna, fidanzata o, al massimo, collega o compagno di squadra, senza i quali probabilmente il nostro eroe non muoverebbe un dito, come a dire che l’universalità dei principi a niente varebbe se non vi fosse l’interesse privato. Un esempio? L’ “agghiacciante” finale di J.F.K di Oliver Stone in cui un “patetico” Jim Garrison-Kevin Costner, nel tentativo di portare alla luce la verità sull’assassinio di Kennedy, non trova niente altro di meglio da dire nella sua requisitoria finale che “non avrò mai più il coraggio di guardare in faccia mio figlio se non scoprò la verità” (le parole esatte potranno essere anche diverse, ma il senso era quello). Ma dire semplicemente che suo compito come avvocato era quello di perseguire la verità, no?? Troppo banale?

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