Nihil Humanum Mihi Alienum Puto

Per capire la direzione in cui ci stiamo muovendo nella storia contemporanea è indispensabile portare davanti agli occhi della mente due macrofenomeni.
 
1) Il primo è l’estensione delle dinamiche di mercato al mondo intero (la cosiddetta ‘globalizzazione economica’).
Tali dinamiche, a dispetto di molta propaganda, non implicano una condizione più ‘facile’ per gli uomini che ne fanno esperienza.
Esse implicano una condizione più ricca di mezzi efficaci per i propri fini, cioè più ricca di prodotti, merci, beni, servizi, tutte cose magnifiche cui difficilmente vorremmo o sapremmo rinunciare. Ma ciò, se da un lato implica un aumento dell’agio, del comfort, dall’altro non implica affatto che sia soggettivamente più facile per ciascuno vivere.
L’estensione delle dinamiche di mercato è estensione delle dinamiche di competizione e dell’accelerazione dei mutamenti. Ogni beneficio ottenuto è percepito come precario, e lo è realmente, giacché la dinamicità stessa della società fa sì che nessuno sia mai ‘al sicuro’.
Mentre l’insicurezza del passato era un’insicurezza episodica, legata a guerre, epidemie, catastrofi naturali, oggi l’insicurezza è piccola, ma sistematica, quotidiana: l’intero sistema delle relazioni sociali è costruito attorno alla percezione di insicurezza, e all’insicurezza ci si appella come molla per ‘motivare’ i lavoratori, ad ogni livello e sempre di più.
Lo ‘stress’, non a caso, è la patologia moderna per eccellenza e lo stress, come ci spiegano i neurofisiologi, è una condizione atavica di allerta (“combatti o fuggi”), condizione biologica oggi cooptata funzionalmente per far fronte alla quotidianità delle relazioni con l’intorno sociale circostante.
In sintesi, la dinamica economica dominante ci porta a considerare tendenzialmente naturale una valutazione del nostro prossimo in termine di potenziale ostilità (X è un competitore? un predatore?) o di strumentalizzazione (come può X essermi utile?).
 
2) A questo andamento storico si aggiunge un secondo tratto di fondo, ad esso connesso.
Viviamo in un mondo manifestamente sovrappopolato, dove inoltre, per necessità legate alle dinamiche di produzione, le popolazioni si concentrano in sempre maggior misura in grandi aree urbane.
La nostra esperienza del prossimo in questi contesti non è più quella di una risorsa, ma è divenuta quella di un ostacolo, di un limite, di un’eccedenza invadente, di una massa anonima di cui non siamo in condizione di interessarci in termini di individualità, e che possiamo soltanto, se beneficiamo di una buona educazione e un adeguato equilibrio, tollerare.
Le persone sono nella nostra esperienza immediata, preriflessiva, e a prescindere da qualunque nostra convinzione umanitarista, numeri anonimi, tra cui cerchiamo faticosamente di scavare la nostra nicchia ecologica di persone individuali, quelle esigue minoranze che per noi contano come umani. Qualunque cosa noi si sia disposti a sostenere sul piano delle credenze, le condizioni oggettive di vita hanno già deciso per noi: l’alterità umana nella sua pressante quotidianità è sempre più priva di alcun interesse, di alcun fascino, e invece sempre più percepita, come tedio, pericolo, compromesso, oppressione.
 
Sommando queste due dinamiche, entrambe in corso di progressivo rafforzamento, è importante vedere come fatalmente, in qualunque valutazione ‘al buio’ (sotto un rawlsiano velo d’ignoranza) la nostra percezione reale degli altri umani è destinata a concedere loro sempre di meno, a empatizzare con essi sempre di meno, a rigettarne le istanze, esigenze, aspirazioni sempre di più.
 
L’Altro, per ciascuno di noi, è destinato ad essere vissuto, ogni giorno di più, come un anonimo fastidio, una deludente trivialità, un ostile parassita.
 
Non c’è in ciò niente da giudicare moralmente, perché il nostro giudizio morale, senza mutamenti di rotta concreti, non può cambiare in nessun modo questo modo di sentire.
 
Per l’uomo, in questa fase storica, odiare l’uomo è la cosa più umana da fare.
(E il tumultuoso crescere urbano di varie forme di animalismo, postumanismo, ecc. ne è un interessante sintomo).
 
L’importante è non farsi illusioni, e sapere che non può finire bene.

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